"Uccidi il Padre"..


  Scrittore, sceneggiatore, giornalista. Sandrone Dazieri, però, è anche un uomo intelligente, brillante, acuto, ironico, profondo, divertente. Lo devo ammettere. Non lo conoscevo. O meglio sapevo già chi fosse,  ma non mi ero cimentata mai nella lettura dei suoi libri. Questa volta l'ho fatto e ne sono felicissima. Ho letto il suo ultimo lavoro "Uccidi il padre" e ne sono rimasta estasiata. Ho avuto l'onore e il piacere di conoscere Sandrone e di presentare, nei giorni scorsi, questo suo thriller psicologico.

  Una trama avvincente, sorprendente, ricca di suspense e di colpi di scena. Un libro da leggere tutto d'un fiato. Un lavoro che riesce a farti riflettere non solo durante la lettura, ma anche dopo. A distanza di qualche giorno dalla fine della mia lettura ancora sono a pensare ad alcuni aspetti della vicenda e dei personaggi di questa storia.

 Ogni personaggio, nella sua intimità, può essere ciascuno di noi con i suoi traumi, le paure, le debolezze e i punti di forza. La storia è forte, molto forte, e ci costringe a pensare a lungo e a soffermarci su questioni che altrimenti tralasceremmo o trascureremmo, ci costringe a guardarci dentro e a guardare con occhi diversi il mondo, ciò che ci circonda, le persone che ci circondano e ci obbliga a interrogarci su quello che siamo e su come siamo. Sandrone Dazieri è un uomo che va oltre con i suoi "racconti" perchè si chiede costantemente cosa può nascondersi dietro una casa abbandonata, dietro un uomo o una donna apparentemente chiusi e ostili, dietro una storia che potremmo guardare superficialmente...perchè lui è cosi...

Sandrone non si ferma alle apparenze..va oltre..su tutto..ed è per questo che mi è piaciuto tanto e mi ha affascinato..E sicuramente, leggendo un suo libro, lo capirete meglio. 

Dante e Colomba sono i protagonisti di Uccidi il Padre. Il primo è il bambino del silo, vittima di un rapimento, che riesce a fuggire dopo undici anni di prigionìa in cui il suo "aguzzino" lo maltratta, gli fa del male psicologicamente e fisicamente, ma col quale instaura un rapporto morboso e dai sentimenti contrastanti. Dante si ritroverà a collaborare con Colomba, funzionario di Polizia in aspettativa per un grave incidente professionale, in una caso di rapimento analogo al suo. 
Un bambino scomparso strappato alla madre uccisa e decapitata. Dovranno indagare per proprio conto su richiesta dell'ex capo di Colomba il quale sa molto più di quanto voglia far credere. Attorno a loro orbitano tanti personaggi ciascuno dei quali, scopriremo, avrà un suo ruolo preciso e importante per la risoluzione del caso. 


 La trama non è scontata e niente di tutto quello che leggerete in ogni pagina sarà come sembra... una evoluzione inaspettata... una fine sorprendente che promette un seguito con un nuovo libro che presto Sandrone, come ci ha annunciato, cominicerà a scrivere.


















Ho sognato mio padre e..
















L'altra notte ho sognato mio padre. Era gia' successo. Tuttavia, mai, come questa volta, ho desiderato - al risveglio - che lui fosse lì accanto a me. Ho desiderato di poterlo toccare. Mai come questa volta ho sentito forte il senso di materialità,  quella che la morte ti strappa via. L'altra mattina avrei voluto abbracciare e baciare mio padre e non ho potuto. Ed è allora che puoi continuare a credere, pregare, sperare nel dopo, ma niente e nessuno potrà restituirti la "materialità" degli abbracci e dei baci e delle strette di tuo padre. Niente.


















I tanti perchè..senza risposta



Una famiglia distrutta. Distrutta due volte. Da un figlio che uccide un altro figlio, a coltellate, per una banalità.

Accade nel tarantino, come accade in tante parti del mondo e come accade da sempre. La cronaca ci "parla" ormai quotidianamente di genitori che uccidono i figli, di figli che uccidono i genitori, di fratelli che uccidono fratelli. Avviene dalla notte dei tempi, da Caino e Abele, come ha ricordato l'arcivescovo di Taranto, monsignor Filippo Santoro. E avviene per i motivi più disparati.

Diventa difficile anche scriverne perchè non ci si capacita che possano accadere di questi delitti, perchè è difficile non cadere sempre nella retorica, nelle stesse identiche riflessioni, quelle sulla perdita di valori, sulla mancanza di dialogo, sul vuoto esistenziale di ciascuno di noi. Sì, ci ritroviamo tutti indistintamente a fare sempre le stesse identiche riflessioni senza poi davvero comprendere cosa stia accadendo o cosa per secoli sia accaduto all'uomo, all'essenza della famiglia. E in un momento in cui si rincorrono le polemiche sulle nuove famiglie, sulle coppie gay e sui loro figli, ancora non siamo riusciti a fare chiarezza sul tesoro prezioso di famiglia. Aldilà da chi sia composta quella famiglia. Da due uomini? Da due donne? Dalla loro voglia o possibilità di avere figli? Non importa. La vera domanda che dovremmo porci è perchè non sia instillato in noi il "concetto di famiglia", che sia tradizionale o no.



Tante domande senza un perchè e per chi, una coscienza ce l'ha, anche un esame intimo di sè stessi e delle proprie responsabilità per contribuire al meglio a migliorare la società. Se ne parla e se ne discute continuamente, ma sembra che facciamo sempre più passi indietro come se quasi fosse questa la normalità, come se ci fosse una sorta di assuefazione e di rassegnazione a tutto. 
Niente è normale, invece, niente. E più ci pensi e più si impazzisce a tentare di capire. Cosa poi dovremmo comprendere??? Prima o poi, forse lo capiremo. Ciascuno di noi capirà di avere un ruolo ben preciso e che quel ruolo non è secondario, per nessuno.

Non tocca a nessuno di noi entrare nel merito di un gesto come quello avvenuto l'altro giorno nel tarantino. Nessuno può e deve giudicare. Lo farà un tribunale e lo farà solo a livello giudiziario. Perchè la coscienza è un'altra storia. Resta solo una famiglia logorata dal dolore che non ha bisogno in questo momento di giudizi. E mi piace chiudere questo post con il pensiero di un amico di Marco trovato sul profilo fb. Uno su tutti che mi hanno fatto riflettere e capire che i giovani non sono poi così vili e stupidi come tanti di noi pensano. Il pensiero di questo ragazzo fa comprendere quante domande hanno i giovani e quante risposte mancate..Da parte di tutti..


"Oggi ho perso un amico, aveva 22 anni e la causa è stata una stupida banalità.
Io non me ne rendo ancora conto che è successo davvero. 22 anni, ci rendiamo conto, una vita davanti e tanti progetti da costruire e portare a termine. E invece niente, tutto finito nell'arco di qualche minuto. A che è servito vivere per soli 22 anni? Qual'è stato lo scopo? E adesso? E dopo?
Perchè avere tanti dubbi, tante incazzature col mondo, tante delusioni, tanta tristezza, tanta gioia, tanto impegno nel lavoro se poi è questa la fine? Perchè? Per cosa? Per chi? E alle persone che invece rimangono, cosa si può dire per alleviare questo immenso dolore?
C'è parola capace di lenire questa immensa sofferenza? Marcolìììì adesso chi mi abbraccerà in maniera sincera e pura quando mi incontrerà?"



















"Giochi" scellerati e crisi di identità..















 14 anni seviziato con un tubo ad aria compressa da un 25enne. Un giovane con moglie e figlio che si presume debba essere maturo e, piuttosto, che fare "giochi" scellerati debba essere una sorta di guida per un adolescente. E invece no. Che fa??? Insieme ai suoi amici, dementi quanto e più di lui che quel gesto lo ha materialmente compiuto, sfotte il ragazzino e poi lo sevizia.

Ora dico io.. la madre, piuttosto che rilasciare interviste sostenendo che il figlio non sapeva quello che faceva e che si trattava di un gioco, potrebbe forse tentare di capire cosa sia accaduto, perchè si è comportato in quel modo, quale e dove sia il problema. Non conosco i fatti se non perchè in questi giorni sto leggendo giornali e ascoltanto servizi televisivi, ma mi chiedo dove stiamo andando a finire. Una "giustificazione" (semmai ci possa essere o essere definita tale) a questo gesto proprio non riesco a trovarla e proprio non riesco a non essere arrabbiata o anche semplicemente a pensare che in quel 25enne idiota ci sia un "disturbo".

Vivo e vedo troppi bambini e ragazzini crescere con il culto del bello, del bravo, del simpatico, del vestito firmato, del cellulare e dell'ipad e di giornate trascorse a cazzeggiare tra play station dai giochi violenti e il nulla fare piuttosto che a scrivere, disegnare, leggere un buon libro, giocare all'aria aperta, o anche solo guardare il mare o un tramonto. Tutto come se fosse normale. La responsabilità di chi è??? Dei bambini??? E no. Perchè dipende da come cresci ed educhi quei bambini. Da come ci parli con i tuoi figli e da ciò che dici ai tuoi figli nei momenti di gioia e in quelli tristi.

Poi però fortunatamente vedo bambini cresciuti diversamente, come eravamo cresciuti noi un tempo. Anche noi, certo, giocavamo magari con i soldatini che andavano a fare la guerra e con la pistola ad acqua, ma i nostri genitori ci spiegavano quello che accadeva nel mondo, fuori e dentro le nostre case e che quella pistola ad acqua andava comunue utilizzata con moderazione. 



Non siamo stati santi ma quantomeno venivamo indirizzati in modo diverso dalle nostre guide, dai nostri genitori che, nel loro piccolo, ci hanno insegnato a essere pensanti. E oggi, comunque, vedo che ci sono ancora bambini (pochi) a cui piace leggere, scrivere, disegnare, coltivare le piante insieme alla mamma e fare un passeggiata al mare con papà.. ed è a quei bambini e a quei genitori che guardo con ammirazione.. sperando e immaginando che ancora tutto non è perduto in una società in cui un bambino non viene educato neppure a dire buongiorno e un ragazzo con un figlio fa "giochi" stupidi mettendo a rischio la vita e lo stato psicologico di un ragazzino in piena adolescenza.


















Telenorba, licenziamenti e..altre storie!!!


 Telenorba licenzia.. cronaca di una morte annunciata. 




Telenorba annuncia due anni fa il licenziamento di 43 dipendenti, tra giornalisti e tecnici, questa notizia non arriva sicuramente come un fulmine a ciel sereno. Anzi.. è stata una morte lenta e dolorosa per questi 43 "operai" dell'informazione la cui unica pecca, forse, è stata quella di non lottare con le unghie e con i denti per difendere la propria dignità. A cosa sarebbe servito??? A nulla probabilmente e, forse, anche per questo non ci hanno provato e li capisco.. eccome se li capisco.. però probabilmente sarebbe servito a ciascuno di loro per dire a un'azienda che mai li ha rispettati e sempre li ha umiliati: "Ecco. Ci sono. So bene che mi stai buttando fuori, ma niente ti da il diritto di calpestare la mia dignità e i miei diritti".

La notizia risale a diversi giorni fa e fino a oggi sono stata in silenzio perchè non so più cosa dire. In quest'ultimo anno, cioè da quando ho sbattuto la porta e sono andata via da Telenorba, credo di aver detto anche troppo. Tuttavia parto dalla vicenda Telenorba per poi fare delle riflessioni su tante altre aziende che come quella di Conversano agiscono nello stesso identico modo. Minacce e ricatti. Vessazioni e umiliazioni. Certamente non è solo il mondo dell'editoria che tratta come schiavi i suoi dipendenti. E' un modo conclamato di qualsiasi tipo di azienda e di imprenditore. E oggi è ancora più diffuso. Oggi che lavoro ce n'è poco o non ce n'è proprio. L'unica alternativa è lavorare e stare zitti. Ringraziare pure chi quel lavoro te lo dà. Come se non fosse un diritto il lavoro. Come se non fosse un diritto un lavoro dignitoso. 


La crisi sembra il giusto alibi per imprenditori avvezzi a crearsi imperi con finanziamenti pubblici, sfruttando i suoi dipendenti, salvo poi buttarli fuori quando non servono più, dopo aver sfruttato al meglio gli ammortizzatori sociali (solo alcuni ammortizzatori sociali sia chiaro). E già perchè il contratto di solidarietà non va giù a Telenorba. Diciamo pure che non va bene ad alcuni giornalisti di Telenorba. Beh si.. solidarietà zero. E' stato sempre così. Sia chiaro. Ci sono giornalisti di serie A e giornalisti di serie B. Ci sono i figli di..., gli amici di..., quelli che hanno scheletri negli armadi, gli stessi che condividono con l'azienda e così via..

Professionalità e meritocrazia non vincono, no. Telenorba è solo uno dei peggiori esempi di "fare impresa" in questa Italia che va a fondo, che è nelle mani sempre e soltanto dei poteri forti, di politicanti attaccati alle poltrone e ai soldi, agli imprenditori che con quei politicanti fanno gli "accordi"".. non sono imprenditori, sono faccendieri della peggiore specie che amano circondarsi di "portaborse" che fanno i loro interessi, che stanno lì.. a servirli e riverirli. Si badi bene. Ci sono imprenditori e imprenditori. Perchè ci sono pure quelli che impresa la vorrebbero fare correttamente e la fanno, ma sembrano oasi nel deserto. Cosi come ci sono lavoratori e lavoratori.

Telenorba, però, oggi sacrifica uomini e donne che all'azienda hanno dato e tanto pure. Ci sono colleghi che stanno tentando di crearsi una alternativa e non è facile, chi già se l'è creata e chi un alternativa non ce l'ha e non sa dove cercarla. Due anni fa arrivarono le prime lettere di licenziamento, come un fulmine a ciel sereno perchè nessuno aveva avuto il coraggio di guardarti in faccia e dire che la situazione era critica. No. Come in una assemblea dei giornalisti, che precedette di poco quelle lettere, in cui si chiedeva la disponibilità a cominciare a utilizzare le telecamere. 



Quella sembrò più una occasione ghiotta per l'azienda per stilare la lista dei buoni e dei cattivi, dei disponibili e degli indisponibili al solo fine di capire chi era aziendalista e chi no. Come se essere aziendalisti non voglia dire lavorare da mattina a sera, senza orari, e portare a conclusione il lavoro iniziato, non battere ciglio sugli orari, non essere retribuiti sugli straordinari, non essere neppure ringraziati. No, non ringraziarti per quanto stai facendo che è tuo dovere e ti è pagato, ma per quanto stati facendo di più e senza lamentarti. Aziendalista per questo tipo di aziende evidentemente ha un significato diverso. Motivi per proclamare uno sciopero, già all'epoca, ce ne sarebbero stati e anche tanti. La paura della maggior parte dei giornalisti, però, era troppa. Paura di ritrovarsi nel mirino dell'azienda. La stessa paura di alcuni se nelle elezioni del CDR, l'organismo interno a una redazione che dovrebbe accogliere le tue rimostranze e lottare per i tuoi diritti calpestati dall'azienda, non voti chi ai "capi" non è vicino. Anche quelle, elezioni pilotate.



Non mi pento di essere andata via da Telenorba un anno fa. No. Lo avrei fatto prima. E qualcuno lo sa bene. Perchè non mi stavano più bene lavorare in una azienda e per una azienda che i diritti e il rispetto per un lavoratore, ma prima ancora per un essere umano, non li conosce. Non è solo una questione lavorativa. Assolutamente no. E' una questione di umanità. E umanità non esiste. E io non voglio e non posso credere che in una azienda qualsiasi tutto ciò non possa esistere. Non posso credere che imprenditori e lavoratori debbano essere necessariamete "nemici" e non avere rispetto l'uno dell'altro.




Ho ricordi bellissimi di Telenorba che, comunque, professionalmente mi ha dato la possibilità di crescere e di conoscere tante belle persone con cui tutt'ora sono in contatto. Uno su tutti è Marco. Non me ne vogliano gli altri, ma tra quelli che oggi rientrano nei licenziamenti è colui con il quale ho lavorato più a stretto contatto. Marco - il "mio flysta preferito" - è colui con il quale ho condiviso momenti belli e brutti, lacrime e gioia, pioggia, vento, freddo, caldo, sole.. dirette difficili e più leggere.. giornate intere senza neppure poter mangiare. Marco e io siamo la prova che un tecnico e un giornalista possono lavorare gomito a gomito, per intere giornate e nelle peggiori situazioni, ciascuno nel rispetto dell'altro. E non solo dal punto di vista professionale. Grazie Marco. Il mio grazie a lui per dire grazie a tutti gli altri per il lavoro che sempre compiono.




E grazie ai colleghi giornalisti. A quelli veri e sinceri. A quelli che si sarebbero battuti come me e a quelli che non hanno avuto e non avranno mai il coraggio di farlo e non perchè hanno paura di perdere il posto di lavoro, uno stipendio "sicuro"(???), avendo anche famiglie da mantenere, ma semplicemente perchè non hanno rispetto per sè stessi e per la propria dignità. I licenziamenti a Telenorba sono l'emblema di quanto sta accandendo a livello regionale nel settore dell'editoria e tutto nel silenzio assordante delle stesse istituzioni che hanno contribuito a fornire alle stesse imprese i finanziamenti pubblici.

Mi piace continuare a pensare che, nonostante tutto, in questa Italia ci sia ancora una speranza. Una speranza per i giovani e per i meno giovani. Per imprenditori e per lavoratori. Ciascuno di noi, forse, dovrebbe cominciare a pensare seriamente che alla fine siamo tutti essere umani e tutti uguali. Tutti fragili e deboli, allo stesso modo, dinanzi a situazioni che nessuno di noi può governare.