Giornalismo..roba da "INCOERENTI"..



























La vicenda di Luigi Abbate, giornalista tarantino licenziato da Blustar Tv, apre le porte a un fiume in piena i cui argini, ormai da un pò, erano stati oltrepassati. La vicenda di Luigi Abbate apre le porte a diverse riflessioni che avrebbero dovuto essere fatte già da un bel pezzo da tutti quanti noi.

Non ci si può ricordare dei giornalisti o del giornalismo solo perchè oggi è scoppiato un "caso", perchè il licenziamento del collega è stato trasformato in un caso. No, non si può. Nessuno qui è o può essere eroe per caso. Eroe lo si è o non lo si è. Giornalista lo si è o non lo si è. Coerente lo si è o non lo si è. E' una questione di DNA.

Non si tratta di solidarizzare con un collega licenziato o di firmare una petizione. Non è solo questo, perchè i colleghi licenziati da qualche tempo a questa parte sono tanti, quelli in cassa integrazione forse sono altrettanti, quelli precari non si contano più, quelli che si sbattono dalla mattina alla sera per un pezzo che vale 4 euro sono innumerevoli.




Questi non sono eroi? No, sono professionisti che lavorano al meglio per arrivare a fine giornata e si badi bene non a fine mese. Colleghi ambientalisti? Ce ne sono tanti e non da adesso, cioè da quando è scoppiato il caso Ilva. Bello salire sul carro dei vincitori solo dopo. Pressioni politiche? Non prendiamoci in giro. Ciascuno di noi, chi più e chi meno, nel corso del suo percorso professionale è stato vittima - direttamente o indirettamente - di pressioni politiche.  E chi non lo è stato è perchè ha scelto di non esserlo sin dall'inizio anche a costo di restare senza lavoro.

 Perchè una ideologia è una ideologia. 


Inevitabile "obbedire" ai propri editori che, a seconda delle circostanze e delle "esigenze", seguano quello o quell'altro politico, facciano il bello e il cattivo tempo. Sono loro, sempre e solo loro, che ci armano e ci mandano in trincea per guerre che alla fine sono sempre e soltanto loro. Un giornalista con la G maiuscola, è in quel momento, che deve decidere se stare dall'altra parte della barricata. Comodo esserlo solo dopo.


E basta strumentalizzare una vicenda, che può avere la sua eco esattamente come avrebbe dovuto averla quella di tanti altri colleghi licenziati o di quelli che hanno scelto di licenziarsi o ancora di quelli che non possono "ottenere"  il contratto di solidarietà solo perchè altri "colleghi" hanno deciso di salvare esclusivamente la loro pelle o ancora di quelli che un pò di indipendenza e libertà ancora ce l'hanno, ma non la possono sfruttare al meglio. La libertà di stampa e il diritto all'informazione sono molto più del caso Abbate che in tanti stanno montando ad arte probabilmente senza neanche rendersi conto di quanto sia forte la strumentalizzazione.


Non ci sono giornalisti di serie A e giornalisti di serie B. Ci sono giornalisti che hanno scelto di stare in trincea e di combattere, sempre e comunque. Sono pochi, anzi pochissimi e, in un momento in cui l'informazione non è più informazione, non è semplice. Gli editori continuano a  nascondersi dietro il pretesto della crisi per continuare a sfruttare chi, a un miserrimo stipendio, alla fine del mese, non può rinunciare; come se loro - poveri editori - non abbiano già spolpato abbastanza la carne di ciascuno di noi per ottenere i finanziamenti statali e quando quelli sono venuti meno.. eccolo pronto.. il ricatto occupazionale.




Basta con le strumentalizzazioni, basta parlare di libertà di stampa e diritto all'informazione se non ne avete compreso realmente il significato. Nessuno di noi può e deve giudicare la condizione di colleghi che non sono in grado, non vogliono o non possono scegliere se salvare la faccia oppure no. Nessuno di noi può e deve schierarsi, ma semplicemente avere la dignità di ammettere che l'informazione è sottomessa a chiunque intenda utilizzarla per propri fini. Il punto è che tutti noi dovremmo avere COERENZA, ed è proprio quella che manca. Anche nelle scelte che possono sembrare o essere sbagliate deve esserci coerenza.


Coerenza, pur sbagliando, vuol dire anche dignità per sè stessi e per la propria libertà.






















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