L'accoglienza.. quella vera.. quella dell'amore.





















 La Guest Writer 

Marina Luzzi è una cara collega, ma è anche una volontaria. Una volontaria non per esibizionismo o per noia. Lei crede davvero in quello che fa e mai, un solo minuto, ha mollato i migliaia di profughi giunti a Taranto. Marina si è dedicata a loro e soprattutto ai più piccoli con sincera dedizione, amore, sacrificio e non poche difficoltà.. di vario genere perché l'accoglienza non è cosi semplice come qualcuno può pensare. Marina racconta in modo toccante la sua esperienza.



Oggi è un giorno così 
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Questo è un guest post scritto da Marina Luzzi.


Oggi è un giorno così. In cui guardi in faccia il dolore e piangi. Sperimentare l’impotenza fa parte della vita. Chi sta respirando in prima persona, in queste settimane, il dramma dei tanti profughi giunti a Taranto in cerca di una vita migliore, prima o poi prova questa frustrazione. Lo si mette in conto. A vincere però, alla fine dei conti, è sempre l’amore. Molti in questo periodo mi hanno chiesto il perché di questo impegno smisurato. Io credo di stare vivendo un grande privilegio e vorrei che tutte le persone che amo lo sperimentassero allo stesso modo.
Ogni giorno, provando a dare una mano a chi ne ha bisogno, faccio esperienza della carezza di Dio e mi sento infinitamente piccola ma anche tanto utile. Ogni volta che guardo negli occhi un nuovo arrivato, gli consegno l’occorrente per una doccia, gli chiedo di buttare via gli abiti della traversata in mare e gli sorrido o lo accarezzo, sento di avere tra le mani una possibilità grandissima: quella di dimostrare che il mondo non è solo marcio, che c’è qualcuno che ti può amare per quello che sei, senza chiederti nulla in cambio. Una realtà che sconvolge chi negli ultimi mesi o anni, nella lunga traversata che lo ha portato fino in Italia, ha imparato che tutto ha un prezzo, che bisogna difendersi dagli altri.

Lo sapevate che in Libia le persone di colore vengono imprigionate e torturate, non possono accedere a cure mediche in ospedale  e sono costrette a vivere nella clandestinità o a pagare pesanti tangenti per provare a fuggire verso l’Italia? Ogni uomo, ogni donna che in questi mesi ho incontrato lungo il mio cammino, ha una storia diversa e fa sorridere ascoltare chi liquida la questione con un “aiutiamoli a casa loro”. Noi “occidentalizzati” quella casa l’abbiamo defraudata ed ora pretendiamo di non pagarne le conseguenze!  Nessuno ha piacere a lasciare la propria casa. Finora a Taranto sono giunti siriani, eritrei, sudanesi, nigeriani, del Ghana e del Gambia, del Mali e del Marocco, della Tunisia e del Bangladesh, perfino qualcuno dal poverissimo Burkina Faso. Adesso cominciano ad arrivare anche famiglie palestinesi. I siriani, che scappano via dalla guerra, sono quelli partiti con il denaro in tasca per proseguire il viaggio verso il nord Europa. Il loro obiettivo è stato rimanere il meno possibile a Taranto, per poter varcare quanto prima il confine e passare inosservati. Fantasmi, li chiamano.
























In queste settimane insieme agli altri volontari, ho conosciuto, designer, ingegneri, architetti, docenti, sfuggiti ai bombardamenti e costretti ad andare via in fretta. “Quando siamo riusciti a scampare alle bombe che hanno distrutto casa” – ha raccontato uno dei padri famiglia accolti nei primi sbarchi al palaricciardi – “ho capito che non dovevo più attendere, ed ho portato mia moglie ed i miei figli in salvo”. Per gli eritrei ed i sudanesi diverse origini, alterne vicende, guerre e massacri, e la stessa voglia di non rimanere in Italia. La legge dice che non si può andar via dal Paese in cui si chiede asilo politico. E loro questo lo sanno bene. Per questo fuggono verso l’Europa settentrionale, anche quando sono minori.

Dal baby club, in via Cheradi, dove sono raccolti gli adolescenti non accompagnati, sono scappati in tanti. Ragazzini di cui si è persa subito ogni traccia e che forse oggi vagano, per l’Europa, per ricongiungersi con i propri connazionali.



Per molti si va via dalla violenza, da guerre fratricide e dittature, per altri si fugge dalla povertà estrema, provando a realizzare il sogno di una vita migliore, accarezzato grazie ai racconti su Facebook di chi ce l’ha fatta o alle immagini viste in tv. Il grande inganno questo. Perché non sempre qui li attende ciò che vorrebbero. Ma questa è un’altra storia... e con gli amici volontari ne abbiamo ascoltate tante di storie tra giugno e luglio, così tante che quando i tg raccontano di nuove “morti annunciate” a largo della Sicilia, è impossibile non pensare che ci sono dei Mohammed, dei Mustafà, degli Ibrahim e dei Mamadou, dei  Tamata e dei Celestine degli Emmanuel e degli Aziz... che non conosceremo mai. Non sapremo nulla delle loro vite, degli affetti lasciati lontano, degli obiettivi da realizzare, dei tanti sogni. E allora stringo forte quei ragazzi che invece ce l’hanno fatta e sono qui con noi.

Impossibile non commuoversi vedendo Dennis che mentre gioca  a pallone con i suoi amici si blocca, ascoltando il rumore di un aereo militare. “Libia” – dice solo questo. “Be quiete, no problem. Here you are free” – ripetiamo a Dennis. Se il paradiso potesse essere raffigurato – ho scritto di recente in un mio articolo - avrebbe gli occhi di chi attende l’arrivo dei profughi sistemando tshirt e pantaloncini, spazzolini e dentifrici ed il suono di quell’applauso spontaneo e del “Welcome in Italy” che fa sorridere i nuovi arrivati. Nel centro in cui vengono accolti i minori soli, i cartelloni parlano chiaro. Sogni scritti sulle pareti. Ciascuno il suo.






C’è chi vorrebbe fare l’elettricista e chi il falegname. E poi c’è chi vorrebbe diventare “il re d’Italia”, ignaro che la monarchia da tempo non c’è più. Tante bandiere diverse campeggiano insieme in uno stesso cartellone composto a tante mani, con al centro un “grazie Taranto”. Sono stati fatti da chi per primo è arrivato ed ora è già lontano, serviranno ai nuovi per capire che lì non ci sono più guerre né violenza.

E allora non stupisce vedere gli adolescenti musulmani pregare nei grandi stanzoni sui loro tappetini ed osservare il Ramadan, mentre in giardino, altri coetanei si riuniscono e preparano i canti in inglese per la Messa domenicale. E poi di nuovo tutti insieme per la cena. Li guardi e pensi.

“Forse davvero c’è una speranza. Forse davvero un giorno potremo vivere in un mondo di pace. Forse davvero il bene, alla fine dei conti, vince su ogni male”.




















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