Il Cammino di Santiago, la Ricerca dell'Anima.




 Il cammino di Santiago   non l’ho fatto. No. Non ho percorso 800 km a piedi in un mese. No.

da Google Maps
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Ho fatto sicuramente più di 800 km in auto in tre giorni, partendo dal sud della Francia, Saint Jean Pied de Port, un piccolo paese di 2000 anime molto accogliente e terminando questo lungo viaggio a Santiago de Compostela, in Spagna, appunto.

Tutti in auto, lavorando e con non poca fatica per vari motivi.


Il mio compagno di avventura e io  abbiamo provato a raccontare emozioni e sensazioni attraverso le immagini  di alcuni dei luoghi più suggestivi che toccano quello che viene definito il cammino francese per Santiago. Perché di percorsi ce ne sono diversi.


Abbiamo provato a farlo con i temerari pellegrini che scelgono la stagione invernale per mettersi in marcia. Zaino in spalla, scarpe da trekking e bastone.






















 Senza alcun timore  , ma sempre col sorriso sulle labbra. Loro sono i pellegrini che per i più disparati motivi percorrono decine di chilometri al giorno per arrivare alla meta finale. La pioggia, il vento, il freddo, la neve.  Non importa. 























E non importa dormire negli ostelli insieme a tante gente che nemmeno si conosce, che non parla la tua lingua, che non è del tuo stesso credo e nemmeno della tua cultura.  Non importa perché in quei giorni si divide e condivide tutto.  Il bello e il brutto. Non importa, se quelle avverse condizioni meteorologiche possono influire o rallentare il cammino. Non importa perché, importa stare insieme, ma anche da soli con sé stessi. E’ questa la ricerca più intima del proprio io, è il momento di fare i conti con sé stessi, con le proprie paure. E nemmeno importa se per giorni si dorme male e poco. Se ci si alza al mattino e non si può andare al parrucchiere o farsi la barba. E nemmeno poter andare la sera al cinema o al ristorante. In quei giorni si sta insieme, si ride insieme, si scherza insieme e si cucina pure insieme. Italiani, inglesi, americani, spagnoli, coreani, giapponesi.









Arrivano da ogni parte del mondo per il cammino di Santiago e vi garantisco che non è un cammino di fede.
 Non solo. 



C’è la sacralità e la cristianità. C’è anche lo sport e il turismo. L’avventura. Più di tutto però c’è la ricerca interiore e in ciascuno di quei pellegrini che ho avuto il privilegio di conoscere l’ho scorta. Sono giovani e anziani, uomini e donne. Non fa alcuna differenza. In quei momenti, in quel   CAMMINO , non fa alcuna differenza. No. Nessuna. Durante la giornata si cammina insieme e nonostante ciò si riesce a rimanere soli con sé stessi e alla sera ci si siede alla stessa tavola.




















Si attraversano luoghi e paesaggi incantevoli. Monti e altipiani. Paesi che pure Dio sembra aver dimenticato. Città meravigliose. E tutto questo mi ha regalato un grande senso di umanità. Persino camminare nel fango, sotto la pioggia e col vento in faccia (e badate bene io l’ho fatto per un poche centinaia di metri per questioni lavorative) sa donarti sensazioni indescrivibili e ho capito perché i pellegrini a quelle sensazioni non sanno dare un nome. Ci sono e basta.





Dimentichi tutto. Guardi il mondo con occhi diversi. Persino la gente, quella peggiore, quella che ti fa del male o a cui fai del male ti sembra diversa. Niente ha più importanza se non il proprio io e quello che di buono si riesce a tirare fuori da quello. Ciò che si prova non ti fa meravigliare neppure di quei gruppi di coreani e spagnoli che, sorridendo, arrivano fin lassù dove sorge la Croce di Ferro per pregare. Quelli che abbiamo incontrato quando la neve non ci faceva vedere a pochi metri di distanza.




















Fa nulla che la Croce sia coperta di neve e che quello è un posto da lupi in cui persino in auto è difficile arrivarci con quel tempo maledetto. Per i pellegrini si annulla tutto.








 Niente è difficile e niente è complicato.  



Devo ringraziare loro e questo meraviglioso lavoro se ho capito cosa sia profondamente il cammino di Santiago; cosa significhi avere la possibilità di percorrere 800 chilometri a piedi pensando, riflettendo magari pregando o cercando la propria essenza, quella che forse si è persa. E anche a me, francamente, mi è importato poco di aver dormito in ostello senza alcuna comodità, completamente vestita, senza coperte. 
 
Mi è importato poco di avere i capelli sporchi e di essere stata costretta a legarli, di aver indossato per due giorni di seguito la stessa maglia e lo stesso jeans, di avere le scarpe inzaccherate e di aver patito terribilmente il freddo oltre ad aver rimediato una bella dermatite. No. 



Ho scoperto di fregarmene altamente di avere il volto devastato e persino di essere rimasta per un po’ isolata col cellulare. Anche adesso che sono a casa mia, nella mia città, con i miei comfort.

 
L’esperienza professionale e umana più bella della mia vita, almeno fino a ora. 

Sensazioni che ti graffiano l’anima, che ti fanno sentire un gran dolore comprendendo che quella vita a cui siamo abituati, forse, ci ha tolto tanto. 

Ci ha tolto l’autenticità, la sincerità, la bellezza dei rapporti con gli altri e con sé stessi aldilà di qualsiasi tipo di barriera. Perché  le barriere non esistono.  Si è tutti uguali. Sì, lì si è tutti uguali. 

Tutto si guarda con occhi diversi, da una posizione privilegiata, e ti accorgi di quanto nella vita di tutti i giorni diventiamo vuoti e inutili, di quanto ci perdiamo dietro a sterili guerre e inutili polemiche sullo scontro religioso o sulla politica o su chissà che altro. 

E’ solo in quei momenti che ti rendi conto che niente ripaga di più che  dialogare con sé stessi , recuperare sé stessi e buttare all’aria quella vita costruita su ipocrisie, falsità, convenzioni.



Quelle che ti trasformano esattamente in ciò che probabilmente non avresti voluto essere.



 Ecco, lo dico. Io, il Cammino di Santiago, lo voglio fare come va fatto. E un giorno chissà..






























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